DOC e DOCG: cosa sono esattamente?

Ecco le sigle che ti guidano quando compri o stappi una bottiglia

DOC e DOCG: cosa sono esattamente?

Il mondo del vino è pieno di sigle e acronimi, dei quali gran parte delle persone non conosce esattamente il significato. Se ti sei sentito spaesato di fronte a diciture come IGT, DOC e DOCG, sei in buona compagnia. 

Vediamo dunque di fare un po’ di chiarezza, distinguendo innanzitutto vini a Denominazione di Origine Controllata (DOC) e Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG). Ciascun vino con le presenti denominazioni ha un disciplinare di produzione, cioè un insieme di norme e requisiti che devono essere rispettati affinché quel vino possa utilizzare quel marchio.

 

La DOC – Denominazione di Origine Controllata

La DOC indica la zona di origine delle uve raccolte e utilizzate per produrre un determinato vino. La presenza del marchio DOC sulle etichette delle bottiglie indica che si è di fronte ad un prodotto di qualità, realizzato in una specifica zona, con caratteristiche organolettiche precise e seguendo il relativo disciplinare di produzione approvato con un decreto ministeriale. Solitamente, un vino può diventare una DOC solo se ha mantenuto il marchio IGT (Indicazione Geografica Tipica) per almeno 5 anni. Ad oggi, sono 330 le DOC in Italia, molte delle quali in Piemonte. Due esempi sono la Barbera d'Alba ed il Nebbiolo d'Alba, certamente tra le più conosciute.

La DOCG – Denominazione di Origine Controllata e Garantita

Dopo almeno 10 anni, per vini DOC di particolare pregio e di maggiore qualità è possibile richiedere la denominazione DOCG. Ma è qui che la cosa diventa interessante… Ottenere la DOCG non è affatto semplice, considerato che i vini candidati devono prima superare una serie di analisi chimico-fisiche, organolettiche e sensoriali. Solo le bottiglie che superano tutti i test possono distinguersi con un Contrassegno di Stato, cioè una fascetta con la dicitura DOCG posta sulla chiusura, in modo che debba essere strappata per poter aprire la bottiglia.

Nel panorama italiano, il nord è sicuramente un punto di riferimento se si parla di DOCG. Infatti, Veneto e Piemonte contano da sole quasi la metà del totale delle denominazioni nel nostro Paese, attualmente 77 (dati aggiornati al 2020). Come non farsi assalire dalla voglia di un calice quando si pensa al famoso Prosecco o all’elegante Alta Langa Spumante? Giustamente inevitabile.

 

Classico, Riserva e Superiore

Qui si apre un altro mondo. O meglio, rimaniamo nell’ambito DOC e DOCG, ma entriamo più nel dettaglio. Spesso troviamo in etichetta le parole Classico, Riserva e Superiore. Cosa indicano? Specificano meglio i metodi di produzione, l’area di origine delle uve utilizzate e altri aspetti legati alla qualità di una particolare bottiglia.

 

Classico è il vino prodotto in una particolare sottozona con una storia più antica e prestigiosa nell’ambito di una zona di produzione DOC e DOCG. Ad esempio, questo Amarone della Valpolicella Classico DOCG.

Una Riserva è invece un vino che ha fatto almeno due anni di invecchiamento, se è rosso,  e almeno un anno se bianco. Questo periodo può essere comunque più lungo, se previsto dal disciplinare. Così avviene infatti per il Verdicchio Riserva Crisio della cantina Casalfarneto, che fa ben due anni di affinamento, di cui uno in acciaio e uno in bottiglia.

Infine, un vino è Superiore se rispetta disciplinari più severi e ha una gradazione alcolica più alta rispetto allo stesso vino in versione base. Ma non solo: deve infatti essere ottenuto da vitigni con una resa per ettaro inferiore (del 10%) rispetto a quanto previsto dal relativo disciplinare di riferimento. Meno quantità uguale a più qualità, come ti dice questo Chianti Superiore DOCG.

 

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